Attraverso la lettura delle fonti antiche ci giungono preziose notizie
sulla tecnica della pittura ad affresco. Nel trattato "De Architectura",
scritto probabilmente tra il 29 e il 23 a.C., Vitruvio ci fornisce una
serie informazioni dettagliate sul modo di preparare la parete e dipingerla.
L'intonacatura prevedeva la stesura di un triplice strato d'arriccio
ed di un triplice strato d'intonaco. Su quest'ultimo strato si procedeva
all'esecuzione delle pitture: "I colori vanno stesi con cura sull'intonaco
ancora fresco: così non si staccano, anzi si conservano eternamente"
(Vitruvio VII, II). I pigmenti quindi, stemperati semplicemente in acqua
e stesi sull'intonaco ancora fresco, rimangono fissati in una matrice
cristallina effetto della carbonatazione della calce.
Dalle fonti e dall'osservazione archeologica risulta che un intonaco
romano è costituito generalmente da due strati ben distinti, che possono
essere formati, ciascuno, da numerose stesure sovrapposte, e da un'ultima
rifinitura sottile.
A conferma della letteratura artistica, gli strati preparatori degli
affreschi conservati nella sala 131 e 114 sono tre e si distinguono per
l'impiego di diverse tipologie di malta: la prima, grigia, è caratterizzata
dalla presenza di calce e di pozzolana grigio-rosata unita a sabbia di fiume,
la seconda, bianca, è ricca di calce e di un aggregato di origine calcarea
di granulometria media, la terza rasatura finale, bianca e sottile, è
composta di calce e polvere di marmo ben setacciata. Gli intonaci sono
applicati in stesure orizzontali (pontate) stese dall'alto verso il basso
in corrispondenza circa dei registri decorativi delle pitture.
L'esecuzione pittorica procedeva tracciando le linee orizzontali e
verticali attraverso la battitura dei fili. L'impronta del cordino impresso
sull'intonaco è ben visibile in numerosi punti. Alcune incisioni circolari
sembrano indicare l'uso del compasso per la costruzione dell'impianto
decorativo e per l'esecuzione di alcuni elementi circolari. Sono, infine,
presenti numerose incisioni dirette che abbozzano in modo approssimativo i
profili architettonici e i dettagli più elaborati. Nei riquadri con figure
zoomorfe ed in altre aree dove la pittura è molto dettagliata sono ben visibili
una serie di impronte di unghie, probabilmente del dito mignolo del pittore,
che sono una riprova dell'esecuzione ad affresco della decorazione.
Per quanto riguarda i pigmenti impiegati, le indagini scientifiche
hanno confermato il ricorso ad una tavolozza in cui trovano spazio ocre
rosse e gialle (pigmenti a base di ossidi di ferro), calcite e biacca
(carbonato di piombo) come pigmenti bianchi utilizzati per le finiture finali.
La presenza del piombo, spesso associata a quella del ferro, lascia ipotizzare
l'utilizzo del minio, prezioso pigmento rosso a base di ossido di piombo. Per
l'azzurro, la presenza di rame in cui sono riscontrabili tracce di ferro e
cromo, manganese e piombo conferma l'impiego del blu egiziano, colore pregiato
ottenuto dalla cottura di silice assieme ad un composto di rame e carbonato di
sodio e calcio. Nel verde si distinguono il ferro, ma anche tracce di cromo,
manganese, elementi che suggeriscono l'utilizzo di un pigmento a base di terra verde.
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Fig. 1 - Sala 114 - Particolare con due battiture dei fili a pressione parallele fra di loro per tracciare la fascia orizzontale che divide il primo e secondo registro e incisione circolare da compasso
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Fig. 2 - Sala 114 - Poche incisioni dirette piuttosto approssimative sono state usate nell'esecuzione della figura vicino all'angolo con la parete est
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Fig. 3 - Corridoio 131 - Particolare del medaglione eseguito a compasso
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Fig. 4 - Corridoio 131 - Particolare dell'esecuzione pittorica di una veste
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